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Mit studia parte di una proteina per bloccare il coronavirus

Infettivologia Redazione DottNet | 30/03/2020 14:01

E' la qualità scoperta in un peptide da parte dei ricercatori del Massachussetts Institute of Tecnology

Riesce a bloccare la capacità del coronavirus di entrare nelle cellule dell'organismo. E' questa la qualità scoperta in un peptide, una parte di una proteina, da parte dei ricercatori del Massachussetts Institute of Tecnology.   Sono stati loro a notare come riesca a legarsi alla proteina che Sars-Cov-2 usa per entrare nelle cellule. Lo studio fatto dagli studiosi americani è ora in fase di pre-pubblicazione. La particolarità del coronavirus è che ha molti picchi proteici che sporgono. Le ricerche hanno dimostrato che una sua zona specifica si lega a un recettore che è un enzima noto anche come Ace2. Questo recettore si trova sulla superficie di molte cellule umane, comprese quelle dei polmoni, ed è stato anche il punto debole usato dal coronavirus che causò nel 2002 l'epidemia di Sars. In una serie di simulazioni al computer è stata rilevata la posizione in cui i due elementi si collegano. I ricercatori statunitensi così hanno generato un peptide capace di collegarsi a lui.

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Secondo il Mit questo lavoro può portare allo sviluppo di una serie di farmaci peptidici per la lotta a Covid-19. "I peptidi sono molecole più grandi, quindi possono aggrapparsi al coronavirus e inibire l'ingresso nelle cellule - dice Brad Pentelute, ricercatore che ha condotto l'analisi - Anche gli anticorpi hanno anche un'ampia superficie, quindi potrebbero rivelarsi utili. Questi però richiedono solo più tempo per essere prodotti e scoperti". Uno svantaggio dei farmaci peptidici, spiegano gli studiosi del Mit, è che in genere non possono essere assunti per via orale, quindi dovrebbero essere somministrati per via endovenosa o iniettati sotto la pelle. Dovrebbero, inoltre, anche essere modificati in modo da poter rimanere nel flusso sanguigno abbastanza a lungo per essere efficaci. Proprio su questo stanno lavorando i ricercatori. "È difficile prevedere quanto tempo ci vorrà per poter testare qualcosa nei pazienti, ma il mio obiettivo è avere qualcosa nel giro di poche settimane - prosegue Pentelute - Se risulterà essere più impegnativo, potrebbero essere necessari mesi".  

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